
Non avevo mai visto una #Tesla (l’auto elettrica lux e performante per eccellenza), ma in Norvegia, nonostante la disantropizzazione e il fatto che si percorrono decine e decine di km incontrando poco o niente – e non sempre in autostrada – ce n’è a bizzeffe.
Pertanto, l’occasione mi è gradita per parlare delle #Incongruenze #ambientali e del fatto che spesso più che di #TransizioneEcologica sarebbe meglio parante di #GreenWashing.
In realtà, in Norvegia – caccia alla balena a parte: dove sbagliano pure a casa loro! – fanno la cosa giusta a casa loro, ma possono permetterselo solo esportando il problema (e il loro carbonio) in altri paesi.
E non parlo solo del fatto che l’Occidente smaltisce le batterie nei paesi poveri, dopo a averli instabilizzati per saccheggiarne le risorse minerarie per produrre quelle batterie (vedi il colpo di stato in Bolivia).
La Norvegia è giustamente orgogliosa della sua attenzione per l’ambiente.
Il 100% dell’elettricità del paese proviene da fonti rinnovabili, il riciclaggio dei rifiuti è quasi totale e il paese è sulla buona strada verso un futuro a zero emissioni.
Il governo auspica che entro il 2025 tutte le auto vendute in Norvegia saranno elettriche.
Le sue politiche sono un modello per il resto del mondo.
Del resto i proventi del petrolio non vengono spesi tutti subito. Infatti, una piccola parte serve per incrementare il welfare state, mentre la maggior parte viene collocata in fondi di investimento per spalmare sulle future generazioni i benefici, in ossequio a uno dei principi fondanti dello “sviluppo sostenibile”: non pregiudicare le future generazioni. Tant’è che lì la destra (che si chiama “partito del progresso” – almeno non fanno mistero di essere di destra lì!-) vuole capovolgere questo assunto dello sviluppo sostenibile, per consumare subito le risorse economiche senza badare alle future generazioni.
Tuttavia, “gioco in borsa” a parte, il quadro non è così semplice. Per cominciare, il norvegese medio produce la stessa quantità di emissioni di anidride carbonica della maggior parte degli altri paesi occidentali e sviluppati.
Fatto non meno importante, essendo uno dei maggiori produttori ed esportatori di #petrolio al mondo, la Norvegia contribuisce alle emissioni globali di biossido di carbonio in misura sproporzionata rispetto alle sue dimensioni.
La domanda ora è: un altro sistema sarebbe più efficace? Sicuramente, poiché il problema sta nel “modo di produzione e consumo capitalista” che deve bruciare velocemente (e il petrolio è lo strumento per rendere tutto più veloce!) prodotti per sostenersi, altrimenti calano i consumi e l’economia va giù.
Si potrebbero, per esempio, introdurre quanti di “decrescita felice”: regolare il mercato (con agevolazioni o disincentivi fiscali: la carbon tax e la Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, per esempio) in base al benessere delle persone, producendo e consumando ciò che serve alle persone, e non quello che serve alla produzione industriale e alla sua “finanziarizzazione” per autosostenersi, e facendo in modo che in nessuna altra parte del mondo si abbia nocumento a cagione del proprio benessere. Neanche guerre per depredare risorse naturali, eh!
Partendo dall’assunto che per aumentare il lavoro si possono produrre più beni immateriali, come i servizi di cura alla persona: servizi sociali o sanitari, beni culturali ecc.
Invece, come disse Pepe Mujica (rivoluzionario ed ex presidente dell’Uruguay): “la tecnologia consentirebbe di produrre lampadine che durano 20 anni, inquinando di meno, ma se lo si facesse, produrrebbe disoccupazione”.
Del resto occorre ricordare che la definizione di #SviluppoSostenibile lega in un rapporto di interdipendenza, la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali alla dimensione economica, sociale e istituzionale, al fine di soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere la capacità delle future di soddisfare i propri.
Poi, certo, non si può non considerare che il nostro approccio sulla questione è molto europeo. Altrove, ancora oggi moltissime persone aspirano al modo di produzione e consumo capitalista o comunque a questo modello di industrializzazione che si basa sul fossile, perché lo considerano un modo per raggiungere più velocemente il “benessere materiale”.
E la transizione ecologica immaginata dall’Unione europea è sufficiente?
È un passo nella buona direzione.
Sicuramente utile per far traslare la finanza da capitalismo a trazione fossile a quello green, altrimenti si rimarrebbe indietro pure all’Arabia Saudita, dove il capitalismo di stato del Re ricolloca quasi il 40% dei proventi in Investmeni green. E l’ambiente sicuramente non se ne avvantaggerebbe.
Ma serve di più.
Certo, occorre incoraggiarli i passi in avanti. Pure un rivoluzionario intransigente come Mao pensava che “un lungo cammino, inizia sempre con un piccolo passo”.
Senza dimenticare una cosa però:
L’ambientalismo senza critica al modo di produzione e consumo di risorse capitalistico è giardinaggio. O green washing.
E in Norvegia la cosa si tocca con mano.